Carnevale parmense

Il carnevale è una delle feste più antiche, diffusa in quasi tutte le parti del mondo e celebrata con rituali diversi, pur avendo una radice comune, autenticamente popolare.  Il cerimoniale della festa, fin dalle più remote edizioni esprimeva  la volontà del popolo di liberarsi dal male commesso durante l’anno, attraverso la purificazione del fuoco e nello stesso tempo voleva propiziare la rinascita della natura alla vigilia della primavera e l’abbondanza dei frutti.  Da ciò è scaturita l’usanza, giunta fino ai nostri giorni di accendere   falò attorno ai quali convenivano grandi e piccini per gridare, suonare, cantare e danzare.  Per il popolo, bruciare il falò significava anche mettere in fuga il malocchio, allontanare le stregature e chiudere il capitolo dei divertimenti per entrare l’indomani nella Quaresima, tempo di austerità e di raccolto.  Al vertice del grande falò, veniva (e viene tutt’ora) infisso il fantoccio di “carnevale”, goffo personaggio vestito di stracci, ripieno di paglia e accanto a lui, veniva posto un altro personaggio femminile, chiamato in certi paesi “Poiana” e in altri “Vecchia”, ritenuta comunque la moglie del protagonista destinata a fare la stessa fine dell’infelice compagno.   Anche nel periodo di carnevale venivano preparati dalle signore i dolci tipici: tortelli dolci con ripieno di marmellata e le “chiacchiere”.    Fra le tante maschere che animano il carnevale, c’è anche quella ufficiale di Parma: “Dsevòed”.   Si tratta di un popolano furbo che fingeva di essere tonto “… per non pagare i dazzi”.
Il suo nome è dovuto non tanto al suo atteggiamento melenso, bensì al suo dire brillante e simpatico, era infatti chiamato anche “Dsevod salè

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